Abbiamo chiesto ad un fotografo professionista perché questo post di Vogue Italia ha fatto infuriare la gente



Se seguite la pagina Facebook di Vogue Italia, vi sarete accorti di un articolo sponsorizzato, pubblicato qualche giorno fa, che raccoglieva una serie di mostre fotografiche “che non potete proprio perdervi”. Fin qui nulla di strano, ma a far scoppiare l’ira degli utenti è stata l’immagine di copertina usata dalla pagina, in cui si vede una modella che viene letteralmente calpestata dal piede di un uomo.

A causa di quella fotografia, il post della pagina di Vogue Italia è stato riempito di centinaia di commenti di utenti indignati, che accusavano gli autori di non aver alcun rispetto per la figura della donna, convinti che quell’immagine in particolare cercasse di “glamourizzare uno stupro”. Come spesso accade, si tratta di un caso un cui la gente, convinta di star facendo la buona azione quotidiana, ha commentato e attaccato senza conoscere davvero ciò di cui si stava parlando, in questo caso un’immagine con un potenziale messaggio sociale. Per capire meglio cosa sia successo, e soprattutto per leggere correttamente la foto in questione, abbiamo deciso di contattare Angelo Ferrillo, fotografo e docente di IED e OFFICINE FOTOGRAFICHE di Milano. Ecco che cosa ci ha spiegato.

Qual è la foto in questione e qual è il suo retroscena? Potresti darci una breve spiegazione?
La fotografia in questione è “Beauty in distress” e fa parte del servizio di copertina realizzato per il numero di settembre 2006 di Vogue Italia dal fotografo Steve Meisel. Tutto il lavoro ha un titolo didascatico che lascia poco all’immaginazione già dal momento in cui si vede la prima immagine (la copertina): State of Emergency.

Il servizio è stato realizzato e pubblicato in occasione del quinto anniversario dell’attentato alle Torri Gemelle, dove le modelle sono rappresentate come terroristi, ma anche come agenti addestrati. 
La volontà di Carla Sozzani è sempre stata quella di andare oltre l’immagine e fare in modo che la fotografia di moda potesse anche avere utilità nel sociale. Ci sono altri servizi iconografici che hanno affrontato tematiche importanti.
 Un pensiero che condivido in pieno.


Perché credi la maggior parte della gente si sia irritata così tanto?
Molto probabilmente perché a prima impressione si tratta di una immagine forte, anche dalla dominante cromatica del vestito della modella. Per una questione di percezione visiva arriva direttamente allo spettatore mettendo in ombra tutto il resto della scena, facendo solo intravedere in seconda battuta il viso del poliziotto sulla destra del fotogramma.

La maggior parte dei commenti negativi alla fotografia viravano verso l’idealizzazione della donna come oggetto, oltre a leggerla come una immagine violenta di per sé. Probabilmente anche il periodo mediatico dove le notizie di violenza sulle donne, sfruttamento delle posizioni di comando per ricevere attenzioni e tutto quanto arriva da Hollywood. Facendo due più due il conto è presto fatto.

Come si dovrebbe “leggere”, in genere, una fotografia come questa nel modo corretto?
Premetto che non realizzo fotografia di moda, anche se mi ci sono cimentato qualche volta, anche con discreto successo, normalmente, per un servizio di moda, idealizzare tutto il lavoro con un solo fotogramma è il modo sbagliato di cominciare. Tutta la fotografia che è composta da più fotogrammi in realtà dovrebbe essere vista nel suo insieme.
Quello che arriva diretto non sempre rispecchia il suo esatto valore, quindi potrebbe essere utile fermarsi un attimo e magari fare una ricerca.

Se c’è forte contrapposizione, provocazione, forza compositiva, mi piace andare a cercare i motivi che hanno spinto il fotografo a realizzare quel contenuto in quel modo. C’è sempre una spiegazione. La fotografia di moda non è finalizzata a far vedere (e vendere) un vestito. Ed è proprio questo che differenzia in grandi fotografi del passato e contemporanei dalla massa che realizza mediocri contenuti senza valore aggiunto.

Quale sarebbe un modo per incoraggiare la gente ad informarsi un minimo prima di sfogarsi sulla tastiera?
Credo che non si possa più fuggire da questa condizione di “catapulta”. Mi piacerebbe però essere sementito. Mi piacerebbe che le cose andassero diversamente. 
La fotografia oggi è un vero e proprio linguaggio. Utilizziamo le immagini anche solo per dire alle persone vicine dove siamo e cosa stiamo facendo, nel modo più immediato. Perché quindi non conoscerne la grammatica per comporre una frase di senso compiuto?

Poi c’è il fattore filtro. La tastiera ed il monitor ti difendono dagli altri e ti danno la forza di poter esprimere il proprio pensiero su tutto, anche su quello di cui non sai nulla.

Ecco, credo che questo sia l’elastico che tiene la catapulta. Più l’elastico è sottile (quindi c’è una vera e propria mancanza di conoscenza) e più è facile che si rompa e parta il proiettile a razzo.Sarebbe bello se questo genere di armi medioevali venissero messe via una volta e per tutte.

Angelo Ferrillo nasce a Napoli nel ‘74 dove intraprende gli studi di Ingegneria e dove si avvicina alla fotografia, formandosi da autodidatta, fino ad approdare al mondo della fotografia professionale. Attualmente si occupa di fotogiornalismo e di fotografia corporate, è photoeditor e docente di fotografia presso lo IED Milano e OFFICINE FOTOGRAFICHE Milano.

Dopo la chiusura del piano di studi con un Master in Fotogiornalismo ed un Master in Photoediting e Ricerca Iconografica, prosegue la strada della fotografia lavorando come fotogiornalista producendo reportage per Agenzie, ritratti, servizi di cronaca, oltre a commissionati per l’editoria e progetti personali di fotografia autoriale.

Conosciuto al pubblico per la sua street photography e per i suoi reportage, Angelo Ferrillo collabora attivamente con editori nazionali ed internazionali e con brand leader mondiali dell’urban style progettando e sviluppando immagini di social adv e brand comunication.
Oggi membro del direttivo AFIP INTERNATIONAL e HASSELBLAD Ambassador.

(Angelo FerrilloLinkedinBehanceInstagram)