Tra cinematografia e ritrattistica: la fotografia di Paolo Barretta



“Un punto intermedio tra cinematografia e ritrattistica”, ecco come Paolo Barretta, fotografo di origine campana ma che ama definirsi nomade, descrive i suoi lavori. C’è chi tra voi lo riconoscerà grazie a Master of Photography, in onda su Sky Arte e Sky Uno, a cui Paolo ha partecipato come concorrente, oppure grazie al suo seguito profilo Instagram, dove spesso pubblica i suoi scatti. Abbiamo deciso di contattarlo per farci raccontare qualcosa sul suo percorso, i suoi modelli, la scelta di soggetti e location e i suoi progetti futuri. Ecco la nostra intervista a Paolo Barretta.

Ciao Paolo, raccontaci qualcosa di te e del tuo percorso.
Mi chiamo Paolo Barretta, ho ventiquattro anni e sono un fotografo italiano. Provengo da Agropoli, una piccola cittadina sul mare a sud della Campania, ma in realtà mi definisco più un nomade. A diciannove anni mi sono trasferito a Roma per continuare gli studi in fotografia e post produzione – dapprima iniziati presso il liceo artistico di Salerno, in sviluppo e progettazione – per poi trasferirmi dopo circa due anni a Milano, città in cui ho vissuto per quasi un anno cercando me stesso nelle sfumature che faticavo a trovare. Da lì mi sono spostato nuovamente fino ad arrivare a Bologna, città in cui risiedo al momento e da cui probabilmente andrò via intorno Settembre. Come vedi mi sposto molto, frequentemente e quasi mai per mia volontaria scelta. Spesso neanche per questioni lavorative. Credo sia solo la dinamica della vita che per forza di concatenamenti mi spinge in direzioni contrastanti tra loro.

Hai dei modelli a cui ti ispiri?
Ho dei modelli a cui mi ispiro? Ovviamente sì, anche se fatico sempre a definirli in quanto “modelli”. Non sono mai stato particolarmente ispirato dal lavoro altrui, o semplicemente attratto da ciò che fisicamente mi circonda. I miei “modelli” di ispirazione sono perlopiù concetti. Il mio principale percorso artistico è quello di raccontare un’assenza, un vuoto – interiore – ma anche esternato e proiettato nello spazio. La musica mi ispira tantissimo, dandomi la possibilità di concretizzare delle immagini che mi si creano nella mente. Cerco sempre di restare il meno condizionato possibile dal resto per lasciare spazio esclusivamente a ciò che voglio raccontare tramite la mia sensibilità emotiva. Classificherei (nonostante non sia nella mia indole) la mia fotografia in un punto intermedio tra cinematografia e ritrattistica. Non posso negare però che Edward Hopper e il fotografo Gregory Crewdson siano stati in passato grandi fonti di ispirazione per ciò che riguarda la mia formazione emotiva in quanto individuo e artista visivo. Un altro punto importante nella mia visione è una coerenza cromatica: toni cianotici, palette a tratti pastello e omogenei.

Come scegli i tuoi soggetti e le location?
La scelta dei soggetti da rappresentare è una fase molto delicata.
Ho da poco iniziato a scattare anche soggetti maschili, ma il modus operandi nel raffigurarli si aggira sempre intorno ad un concetto astratto androgino. Cerco nei soggetti da rappresentare una delicatezza interiore ed esteriore, tramite i quali possa rivedere me stesso nella totalità della scena che intendo ricreare. Sono molto attratto anche da visi ed espressioni molto cinematografici, questo proprio perché in fase di scatto tendo sempre a far “recitare” una parte che sostanzialmente è il riassunto di ciò che provo personalmente.
La scelta della location è un’altra fase davvero importante in ciò che è – ora – il mio percorso artistico. Spazi puliti, ampi e minimali sono per me una calamita naturale, in cui contestualizzare il soggetto e congelarlo in una sorta di isolamento cosmico.
Ma anche ambienti più intimi: una camera da letto, uno spazio non particolarmente sporco.
Nonostante la mia ricerca estetica nel corso del tempo si sia modificata di molto credo di avere ancora un ideale estetico da seguire, connotazione che cerco di far prevalere nei miei lavori tramite la geometria.

Qual è la tua foto che ami di più e per quale motivo? Raccontacene un po’.
Questa è una domanda che mi è stata fatta diverse volte nel corso del tempo.
Nonostante la risposta possa variare, la mia costante in quella che è la fotografia a cui sono più affezionato emotivamente resta invariata. Si tratta di un autoritratto in pellicola in riva al mare, scatto usato come copertina del romanzo di Romana Petri “Giorni di spasimato amore” distribuito da Longanesi Editore. Sono particolarmente affezionato a questo scatto in cui vive la celebrazione della mia vita, tra passato e presente, ciò che è stato e ciò che è.
Sono cresciuto sul mare, assaporando il vento e le riflessioni che solo la vista immensa dell’orizzonte può suscitare. Spesso è anche un modo che ricordare chi sono nei periodi in cui tendo a dimenticarlo.

Progetti all’attivo e futuri?
Ho da poco concluso la terza edizione di Master of Photography, uno show televisivo targato Sky Arte e in onda proprio in questo periodo. Dopo MoP, il mio principale progetto – oltre al continuare con l’ampliamento costante del mio percorso fotografico – è quello di progettare un libro. Libro non essenzialmente fotografico ma bensì illustrato con le mie fotografie, per completare al meglio gli scritti che intendo pubblicare sotto forma di monologhi. Non ho molte informazioni a riguardo per il momento, ma posso affermare di volergli dare il titolo di “La Teoria dell’Incomunicabilità”.

Raccontaci della tua esperienza a Master of Photography.
È stata un’esperienza davvero importante, capitata un po’ per caso e che ha segnato concretamente il mio percorso. Si tratta di un format televisivo in onda ora su Sky Arte e Sky Uno, con il principale scopo di portare a termine delle prove fotografiche in tutta Europa.
Lavorare all’interno di una produzione così importante mi ha permesso di allargare la mia adattabilità nei confronti di tutto. Ho avuto l’opportunità di conoscere persone che reputo davvero molto vicine, con cui parlo quotidianamente e che mi hanno fatto comprendere quanto sia importante la condivisione. Ho anche capito ancora di più me stesso e fin quanto sono disposto ad allungarmi, senza mai perdere di vista chi sono. Un’esperienza televisiva di quel calibro ti resta dentro.

Consigliaci tre fotografi da non perdere d’occhio, a parte te ;)
La prima è sicuramente Marietta Varga, nei cui lavori davvero ben eseguiti rivedo molto di me stesso. Lei è stata una mia collega di Master of Photography, ed oltre ad essere una persona speciale è davvero una fotografa con un enorme talento. Un altro fotografo che apprezzo particolarmente per la sua visione e con cui sarebbe interessante poter collaborare è Giacomo Infantino. I suoi lavori e soprattutto la sua ricerca artistica sono davvero compatibili con ciò che sento di essere in quanto Paolo Barretta. Infine Cristina Coral con la sua immensa capacità di bloccare il tempo. Apprezzo davvero enormemente i lavori di questo genere e livello.