Negli anni ’90 leggevamo le composizioni di shampoo e bagnoschiuma seduti sul water, oggi si fa swipe su Tinder. Io Tinder non ce l’ho, così quando aspetto qualcosa mi metto a cazzeggiare su Instagram.
Giacomo Infantino l’ho trovato in un pomeriggio caldissimo nella mia sezione Scopri, in un parcheggio pieno di zanzare, mentre aspettavo di andare a quel concerto dei Radiohead di cui tutti rivendevano illegalmente i biglietti.
C’era una strada vuota e la tenda beige di un circolino chiuso, nel torpore della notte della provincia lombarda. Tutto questo sembrava fin troppo familiare.
Le altre foto erano una bomba: vi ho riconosciuto i posti da cui venivo anch’io, i minuti che scorrono con la lentezza di anni scolastici, l’amore e odio di quando cresci in provincia e sei ancora troppo giovane per andare via, il rumore delle auto sulla statale, l’aria immobile che ti si attacca addosso.
Avevo trovato uno di quelli che ti bucano lo schermo dello smartphone.
Ci racconti chi sei con parole tue?
Mi chiamo Giacomo Infantino. Ho 24 anni. Sono laureando in Nuove tecnologie dell’arte all’Accademia di Belle Arti di Brera. Sono cresciuto in un paesino la cui identità si riflette nelle acque torbide del suo lago, il lago di Varese, acque calme e apparentemente quiete in superficie, ma ricche di vortici e correnti che come sabbie mobili inghiottono il tempo stesso.
Quando senti che un posto abbia una storia da raccontare?
Dopo esser diventato maggiorenne e conseguito il diploma, ho iniziato a viaggiare, mi sentivo un po’ come Arturo Bandini. La fotografia era solo un pretesto per poter accumulare ricordi, senza pretesa alcuna e totale ingenuità. Inconsapevolmente ero in cerca di un qualcosa che potesse essere memorabile, un qualcosa che mi portasse lontano da quelle acque torbide che sentivo pesanti, come quando ci si tuffa in mare vestiti. L’oceano, le città, le montagne che incontrai non mi raccontarono nulla.
Mi sussurrarono la loro storia e nulla più. Io non ne facevo parte. Capì allora che valeva la pena raccontare la storia di quelle acque torbide, di quei luoghi senza memoria in cui molti di noi evadono e scappano in cerca forse di loro stessi.
Visioni di un paesaggio che non sembra mutare mai, ma che in realtà ha alterato la sua identità nel quale noi ci smarriamo continuamente guardando oltre oceano.
Grazie al viaggio ho capito ciò che valeva la pena, per me almeno, raccontare.
Spesso nelle tue foto c’è un riferimento geografico preciso, altre volte potrebbero essere ambientate in Nebraska, in North Dakota o chissà dove. Com’è stato per te crescere proprio qui, nella provincia lombarda?
Hai detto bene Silvia. La provincia lombarda, ma la stessa Italia tutta, ha subito, anche se con ritardo rispetto all’Europa, una forte spinta verso il cambiamento.
Il territorio e gli skyline di molte nostre città, rimaste immobili e logorate dal tempo, stanno cambiando e mutando forma. La società per dirla alla Baumann, da poco scomparso, è liquida e con essa la città stessa. Essa decentra il proprio baricentro verso nuovi paesaggi, sempre più flessibili e mutevoli. Estende le sue braccia verso la provincia, espandendosi, e con essa porta cambiamento, novità, occasioni, ma anche degrado. Questo in relazione a noi ci rende in continuo cambiamento, ma che in realtà in molti casi ci porta verso l’appiattimento. Nebraska, North Dakota o chissà dove, noi oggi siamo qui e ovunque. Per queste ragioni qualsiasi luogo può essere un altro luogo. Nelle mie fotografie c’è la chiara intenzione di voler raccontare la mia sensazione e la mia visione di questo status quo, apparentemente sotto controllo ma di cui molti di noi ne sentono la tensione. Molto spesso nelle mie fotografie prendo parte come “attore”.
Questo è stato molto importante per me, perché grazie alla fotografia stessa ho potuto fare luce in quelle acque torbide e scure fino a riportare queste emozioni alla luce.¬ ¬
Che rapporto hai con Instagram? Secondo te ha davvero influenzato molto il nostro gusto e il nostro modo di scattare foto?
Instagram è un mezzo fondamentale per qualsiasi fotografo o artista di oggi.
E’ Difficile farne a meno, o almeno, dipende da come decidi di utilizzarlo.
Come dicevo nelle risposte precedenti, il mutamento è dovuto alla stessa società, esso si riversa su ogni cosa. E’ lampante come i nuovi media e le nuove tecnologie ci abbiano fortemente influenzato. Credo che il vero problema sia nell’eccesso di contenuti, buoni e cattivi, i quali ci portano ad una vasta conoscenza in ogni campo. Questo ad ogni modo ci porta spesso verso una sterilizzazione dei contenuti da noi creati, spesso influenzati da quello che è il “mercato” e spesso troppo superficiali. Per questo io stesso ho una forte influenza dalla fotografia e dal cinema americano contemporaneo, è inevitabile. I prodotti di cui ci nutriamo o per lo meno la maggior parte, provengono da lì. Bisogna imparare a dosare ogni immagine e ogni informazione con il giusto peso e una buona ricerca.
Consigliaci un film di cui ti piace molto la fotografia
I film di cui adoro la fotografia, in particolare perché capace di andare oltre alla semplice immagine, ma in assoluto potrei dirvi “Deserto Rosso” di Michelangelo Antonioni o “Paris Texas” di W. Wenders. Sono dei grandi artisti del cinema, e nessuno come loro ha saputo raccontare, soprattutto con il paesaggio, il sentimento dell’uomo e della sua alienazione.
Immagini che hanno predetto molto di un’epoca che ancora fa fatica a trovare sé stessa.
Dove vorresti essere tra dieci anni?
Non ho idea di dove vorrei essere tra 10 anni, posso dirti che entro i prossimi tre anni voglio impegnarmi al massimo a concludere il mio ciclo di studi presso il biennio di fotografia di Brera. Mi auguro solo che tra 10 anni non perda mai la curiosità.
E’ l’unica cosa che spinge a non smettere di cercare e di sognare.
Website: www.giacomoinfantino.com
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