L’effetto delle droghe sui processi di produzione creativa



È una credenza molto diffusa, la droga libera la creativa. Sarà vero? Nella loro epoca, Henri Michaux, Jean-Paul Sartre, Jean Paulhan o ancora Antonin Artaud avevano sperimentato diverse sostanze psicotrope sia per motivi terapeutici sia con fini artistici. Ma le droghe aiutano davvero a liberare la creatività?

In questi giorni a Parigi si tiene l’esposizione Psilocybine: durante la manifestazione, alcuni psichiatri osservano il processo creativo degli artisti per cercare di capire se la droga può effettivamente aiutare nella creazione. L’esposizione disporrà inoltre opere realizzate tra il 1960 e il 1962 da artisti anonimi e giovani, appartenenti all’avanguardia parigina dell’epoca (Jean-Jacques Lebel, Daniel Pommereulle, Philippe Hiquily o ancora Pierre-Xavier Laffite e Sam Mandel) che avevano consumato sostanze allucinogene nell’ambito di test terapeutici.

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Il ruolo del peyote o della mescalina nella storia della letteratura e delle arti è considerevole”, spiega il giornale Le Monde. I risultati osservati sui soggetti dell’esperimento sono divisi: Laffite, solitamente lento nella creazione, “realizza una nuova opera ogni tre minuti in media” e Sam Mandel disegna delle teste distrutte, cosa che non ha mai avuto il coraggio di fare prima d’ora.

Saremmo quindi tentati dalla conclusione secondo cui le droghe permetterebbero di disinibire l’artista perché sfoderi tutti i suoi sentimenti. Ma Jean-Jacques Lebel invece, disegna nello stesso modo sia quando è sotto effetto di stupefacenti che da sobrio. Dopo aver letto la tesi dello psichiatra che l’ha osservato, Henri Michaux ha concluso che :“Contrariamente a quel che potrebbero pensare i più sprovveduti, l’attività cerebrale generata dalla creazione artistica sommerge ed esclude l’allucinazione, le illusioni e la gran parte delle visioni fantastiche”.